Autore: Vincenzo

Pendolare con l'hobby della scrittura e della fotografia

Senza infamia e senza lode

U

scita numero 14, ottanta chilometri. Maggio se ne va e non credo lo ricorderò per le prestazioni in sella alla mia “orange”. La sgambata di ieri è stata preceduta da giorni strani nei quali ho provato ad individuare un percorso per la pedalata settimanale. Non so quante volte avrò consultato Google Maps, provato virtualmente i tragitti, senza trovare una soluzione gradita. Sono stato addirittura tentato dal lasciar perdere, fino a quando ho deciso che avrei lasciato tutto alle sensazioni. Ho fatto un patto d’acciaio con i minuti che accompagnano i primi chilometri in bici; loro sanno dirmi molto più di qualsiasi sbalzo d’umore. Ne è uscita una pedalata piacevole, senza infamia e senza lode, proprio come Maggio. L’obiettivo è stato comunque raggiunto: azzerare sistematicamente tutte le magagne e ricordare alle mie gambe che possono ancora dare molto. Forse di più. L’aspetto più assurdo riguarda la schiena, ancora dolorante a fine corsa, dopo tre ore abbondanti di seduta. Ritorna nella mente un concetto sul quale spesso torno a ragionare: ho l’impressione di mancare il salto di qualità, di non saper andare oltre il compitino (che nel frattempo ha uno standard decisamente più alto rispetto al passato). Insomma, ci vuole uno step ulteriore. Cosa mi frena, porca miseria? Ho trovato l’ora più agevole per iniziare a pedalare. È già un buon inizio ma a breve avrò un nemico in più: il caldo. Non ci penso e attendo Venerdì quando, Dio e tempo permettendo, potrò tornare in sella. Ho più chiara la destinazione ma come sempre, ciò che conta sono le condizioni fisiche e morali nelle quali arriverò a fine settimana. Mi godo l’effetto benefico, salvo qualche immagine e ricomincio. Un “viva la bici” ci vuole. 

E luce fu

M

i piacciono queste mattine di Maggio con la luce che filtra attraverso le finestre e ancora non sono le 6. Sarebbe esagerato dire che il chiarore rende piacevole il risveglio ma la sostanza della primavera avanzata sta proprio nel momento in cui apro la porta di casa per uscire; le grandi finestre dei terrazzini ai piani ammezzati sprigionano energia luminosa che mi accompagna fino all’androne. Si fa fatica a riconoscere gli attimi della giornata in cui il cervello non produce pensieri negativi. In realtà la mia mente non è appesantita da visioni catastrofiche ma semplicemente carica di preoccupazioni; sono le stesse e riguardano sempre le medesime persone. È del tutto normale, credo. Viaggiare in treno è molto più romantico se riesci a fissare la campagna che scorre oltre il finestrino, magari inondandoti i timpani di musica in cuffia. La giornata di lavoro scorre sempre con il sorriso sulle labbra. Spesso mi chiedo cosa pensino gli altri, vedendomi di buon umore. Sono un attore nato. Quando torno a casa non mi sento molto appesantito dalla stanchezza e ciò accade se i miei nervi non vengono sottoposti a stress. Trovo pure la lucidità di mettermi qui a raccontarvi qualcosa, nonostante uno schermo luminoso sia l’ultimo dei miei desideri a fine corsa. Dopo la doccia ed il ferro da stiro mi sono buttato sul letto per una decina di minuti. La mente era libera, provocandomi la strana sensazione di essere anormale. Mi incupisco, mi rattristo, percepisco un senso di vuoto e di impotenza. Sento che mi sfugge qualcosa. Probabilmente sto vivendo la giornata e come tale ne assorbo l’inutilità. Non riesco a concentrarmi su ciò che appare ordinario, ripetitivo, scontato ed invece dovrebbe essere la ragione della mia felicità. Non so se ho fatto bene a scrivere i miei pensieri. È andata. Per i più coraggiosi, grazie di leggermi.