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scita numero 40, cinquantatrè chilometri. Fatico un po’ a trasmettere le mie sensazioni a freddo, all’indomani della quarantesima sgambata dell’anno. Partendo sempre dalla premessa che si tratta di una passione e come tale deve essere vissuta, fatico ad evitare di soffermarmi su ogni aspetto delle mie pedalate. Del resto lo faccio sempre e in ogni campo della vita. Sono costantemente vittima della mia autoindulgenza, non riesco a trovare un motivo per essere fiero di me stesso. Eppure la bici (ad esempio a differenza della fotografia) è il mio hobby “scacciapippe” per eccellenza. Vabbé, ho sbagliato divisa, ho cominciato a sentire strani rumori provenienti dalla catena e mi sono demoralizzato. Prendetemi così, come mi avete conosciuto attraverso questi fogli. Io qui riesco ad essere me stesso al cento percento, non ho filtri e nemmeno vergogna di sembrare un bambino capriccioso che non sa godere della vita. Adesso passiamo alla metà piena del bicchiere: ho una paura folle delle discese, inoltre la profilatura alta dei cerchi in carbonio non aiuta. Però in questo caso ho deciso di trarre una lezione positiva: un po’ per masochismo, un po’ per voglia di superare il timore, sono sicuro che tornerò a scendere, imparando a gestire l’incubo della caduta. Non tutte le ciambelle escono con il buco, non tutte le sgambate sono memorabili ma solo lei, la mia “Orange” ha il potere di farmi venire la voglia di riprovarci, di essere ostinato, di toccare la mia personale perfezione. Alla prossima, Orange baby.
