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scita numero 14, ottanta chilometri. Maggio se ne va e non credo lo ricorderò per le prestazioni in sella alla mia “orange”. La sgambata di ieri è stata preceduta da giorni strani nei quali ho provato ad individuare un percorso per la pedalata settimanale. Non so quante volte avrò consultato Google Maps, provato virtualmente i tragitti, senza trovare una soluzione gradita. Sono stato addirittura tentato dal lasciar perdere, fino a quando ho deciso che avrei lasciato tutto alle sensazioni. Ho fatto un patto d’acciaio con i minuti che accompagnano i primi chilometri in bici; loro sanno dirmi molto più di qualsiasi sbalzo d’umore. Ne è uscita una pedalata piacevole, senza infamia e senza lode, proprio come Maggio. L’obiettivo è stato comunque raggiunto: azzerare sistematicamente tutte le magagne e ricordare alle mie gambe che possono ancora dare molto. Forse di più. L’aspetto più assurdo riguarda la schiena, ancora dolorante a fine corsa, dopo tre ore abbondanti di seduta. Ritorna nella mente un concetto sul quale spesso torno a ragionare: ho l’impressione di mancare il salto di qualità, di non saper andare oltre il compitino (che nel frattempo ha uno standard decisamente più alto rispetto al passato). Insomma, ci vuole uno step ulteriore. Cosa mi frena, porca miseria? Ho trovato l’ora più agevole per iniziare a pedalare. È già un buon inizio ma a breve avrò un nemico in più: il caldo. Non ci penso e attendo Venerdì quando, Dio e tempo permettendo, potrò tornare in sella. Ho più chiara la destinazione ma come sempre, ciò che conta sono le condizioni fisiche e morali nelle quali arriverò a fine settimana. Mi godo l’effetto benefico, salvo qualche immagine e ricomincio. Un “viva la bici” ci vuole.
