Fase Rem

F

inalmente ritrovo il mio più bel rifugio, al termine di un’altra settimana piuttosto intensa. Oltre ai fogli, mi approprio del grande beneficio che solo la scrittura può dare e cioè rimettere i pensieri a posto, dargli un senso e raccogliere consigli o propositi. Sto nuovamente perdendo il contatto con le cose semplici ed il gusto di vivere senza pensare al domani. Sono indaffarato, ansioso, nervoso, agitato, tutto mi sfugge senza che io possa impedirlo. In realtà non è così, solo che non mi impegno abbastanza nel dare il giusto peso ad eventi e situazioni. Ne risentono come sempre i rapporti umani, già ridotti all’osso per colpa del tripudio di personalità che albergano in me; a ciò occorre aggiungere la convinzione di poter dedicarmi a ciò che mi piace, solo una volta raggiunto un minimo di calma. Di solito, quando arriva quel momento, sono già nella fase rem. E allora con chi dovrei prendermela se non con me stesso? Già, è così. Quanto è dura apprendere dalle esperienze? Magari intelligenti ma senza applicazione. Questo mese sta scivolando via senza che abbia inforcato la bici; certo fa freddo ma non è la ragione. Ogni tanto mi attraversa il timore di essermi un po’ distaccato da quell’eroismo spicciolo che mi spingeva oltre ogni ostacolo. In fondo un mese è molto, quando senti di aver sprecato un’occasione. Allora ho cercato di rimediare moltiplicando le sedute in palestra, spingendo forte e promettendo di ricominciare sui pedali appena mi sentirò pronto. Non posso e non voglio mollare. Tengo botta.

Lontano dagli occhi

S

tasera voglio scrivere qualcosa di definitivo sul concetto di “distanza”. Mai come negli ultimi mesi ho sofferto del male da assenza di confronto personale, magari duro ma autentico perché “de visu”. L’ho vissuto (e lo sto vivendo) in modo pesante come se ci fosse sempre qualcosa di non detto, appeso e frainteso. Non mi importano i toni accesi della discussione perché se mantenuti entro i confini dell’educazione, sono sempre costruttivi. Manca invece la forza degli sguardi e dei gesti, per chiudere il cerchio e dire: “Io la penso così, tu no ma poco importa, siamo semplicemente diversi”.  Invece la distanza amplifica i sentimenti negativi e allarga la voragine dell’incomprensione. Non soffro le distanze solo quando non aiutano a placare gli animi; patisco in modo particolare quelle che inibiscono il piacere e la pura condivisione. Durante il lockdown è saltato l’incontro con A.  Era la prima volta, dopo anni, che vincevo la mia ritrosia ad avvicinare sempre più il virtuale al reale. Non ce la facevo più a fare la parte del solito che si lamenta della rete e poi non fa nulla per trasformarla in qualcosa di tangibile. Non è andata. Un tempo si diceva che la distanza rafforza i legami. Non ne sono pienamente convinto. Il mio discorso finale non si limita al concetto di distanza fisica ma si estende a quella cerebrale. Occorre accettare la diversità degli infiniti mondi che costituiscono l’universo umano. Sembra semplice a dirsi ma si dimentica che la relazione presuppone un compromesso o meglio, un’integrazione. Quando si alzano muri come spesso faccio io, ciò diventa impossibile. La distanza ha sempre caratterizzato pure i miei amori. E i miei lavori. Treni o autobus, tutto ha sempre viaggiato su percorsi che a volte uniscono ma spesso hanno diviso. Se qualcuno pensa che la realtà non è poi così migliore, allora vi è una ragione in più per dire che non ci incontreremo mai. Ci vogliono occhi, cuore, mani.  Altrimenti è un caos.

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