Anima fragile

C

iao mamma, stasera sono tornato a casa dopo alcuni giorni trascorsi insieme a papà. Pensavo sarebbe stata una bella occasione per stare con lui, supportandoci come abbiamo imparato a fare,  da veri uomini di casa. Non è andata così perché nel frattempo mi sono ammalato. Ho avuto la febbre alta e sono rimasto a letto per tre giorni, in preda alla mia insofferenza. Lui ha pagato gli effetti del mio nervosismo ed io ho capito quello che tu già mi avevi fatto intendere: non sono in grado di supportare emotivamente gli imprevisti e, di conseguenza, scarico tutto su chi mi sta intorno. Ne sai qualcosa. Mamma! Ci sono cascato ancora! Povero papà. Tornare a casa forse non mi ha fatto bene e ora sono in uno stato di grande confusione emotiva, dove la malinconia si mescola (nuovamente) ai sensi di colpa e all’impotenza. Quando ero tranquillo papà mi raggiungeva nel lettone, si appoggiava alla testiera e fissavamo un punto fermo di fronte a noi. Poi iniziavamo a parlare, come non ci fosse tempo e spazio, solo noi a colmare quel vuoto che fa un rumore troppo grande. Anche papà è un’anima fragile ed io con lui, ancora lontano anni luce dall’essere diventato uomo, forse nemmeno cosciente della fortuna di averlo ancora vicino. Ci sono cascato ancora mamma. Perdonami, ti prego. Stasera sono qui, avevo bisogno del mio letto e di non farmi spaventare dai ricordi per poter tornare a viverti come stavo imparando a fare. Domani spero di venire a trovarti. Combino dei gran casini ma sento già la tua voce: “Dai, non preoccuparti”. Ora più che mai, manchi terribilmente. Ti abbraccio.

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