Chiudere la porta

E

ccomi mamma, perdonami ma sono a metà di un’altra improba salita. Non c’è più nulla che mi fa paura e te lo dico con estrema sincerità, solo che ora siamo tutti accomunati dalle stesse sensazioni: stanchezza fisica, cervello fuso, un po’ di rassegnazione. So che ciascuno di noi sta percorrendo la propria strada con il massimo impegno ma è evidente che lo sconforto ci pervade. Ti voglio rassicurare perché, sebbene non siamo (e non saremo mai) supereroi, continuiamo a stare a galla. Ci meriteremmo tanto riposo. Avremmo bisogno di chiudere la porta di casa e andarcene per un po’. Ricordi quando partivamo tutti per il Sud, le estati di tanti anni fa? Il momento più bello era quando la mattina all’alba, tu chiudevi tutte le tapparelle, mentre papà in silenzio, portava le valigie in auto. La casa sapeva di pulito. Chiudevamo alle spalle la porta e via, per un mese nessun pensiero, sorrisi e la compagnia dei parenti. Papà avrebbe finalmente potuto dimenticare i ferri del mestiere e tu? Beh mamma, ricordo bene quando insieme alla zia, non perdevi occasione per indossare ago e filo. Era più forte di te. Avremmo tanta voglia di lasciare la casa in disordine (sperando tu non ti arrabbierai) e dimenticare che stiamo lentamente invecchiando dentro, ancor più che fuori. Le salite non mi fanno più paura, mamma. In questi ultimi giorni mi accompagna una strana fiacchezza che mi fa muovere lento. Ne guadagna l’approccio alle cose, meno nervoso o istintivo. Però riconosco di non stare al meglio. Non bisogna pensare, magari fare quelle piccolissime cose che fanno respirare la mente. Io, ad esempio, ti scrivo. Ed il cervello trova pace. Prova a darci coraggio, abbiamo bisogno d’aria. Tanta.

Senza nome

C

iao mamma, come tu sai la bicicletta è l’unica ragione che mi tiene in questo mondo. Dopo papà, naturalmente. Nient’altro, mamma. Siamo tutti molto stanchi e papà, dopo sette mesi di lavoro forzato, sta pagando lo scotto. Lo osservo molto di più. L’ho fatto la scorsa settimana e quella precedente che ci hanno visto sempre molto a contatto. Lui non fa che negare di avere brutti pensieri ma non sono quelli a farti male. Lo sto provando io. Quando ho la fortuna di non dover fare i conti con le immagini di quei giorni, ho persino la convinzione di stare bene. È a fine giornata o settimana che capisci come ti sei ridotto. Sei senza forze, la testa piena, ricolma di pensieri e preoccupazioni. Quello che manca è la terra sotto i piedi, l’appiglio per liberarti dai macigni e provare a ricominciare. Ora invece i tempi sono sempre più lenti, sempre ostacolati da qualche intoppo che, per quanto leggero, pesa il doppio. Stiamo studiando tante soluzioni per scrollarci un po’ di zavorra ma non credo sia semplice. Come già successo con te, mamma, io provo a fare lo psicologo da strapazzo e, come immaginavo, ciò comporta grande sforzo e fatica. Mi consolo pensando che è la vita, nient’altro. Solo mi è piombata addosso come un treno in corsa e sbaglio a considerarlo un semplice periodo difficile. È la vita, stop. L’esaurimento nervoso comincia nuovamente ad avere effetti sulla sfera lavorativa (sono ormai insofferente ad ogni situazione) e relazionale. In quest’ultimo caso, mamma, mi sento fortunato. Ho un’isola felice, felicissima. Ha un nome ma non lo rivelerò mai perché le cose belle, quelle vere, non hanno bisogno di essere mostrate ma vissute pienamente. Non ho potuto parlarti oggi perché ormai, anche al cimitero, le persone non rispettano nessuno. Mi stavo arrabbiando poi ti ho sentita: “Lascia stare, non avere a che fare, stai calmo” Ho fatto come hai detto. Tanto ci rivediamo presto.